giovedì 17 marzo 2011

Una porta aperta per tutti


Intervista in Mezzoeuro, settimanale d'informazione regionale, "Pillole di fede" - VoceGiovani, del 12 marzo 2011, n.10, anno10



Don Juan José Alvarado Moreno, vicario parrocchiale di San Vito Martire a Cosenza

Nativo di città del Messico è cresciuto negli ambienti religiosi cattolici, ultimo di sette fratelli, prende i voti a Guadalahara e da settembre del 2010 fa parte del clero cosentino. Segni particolari? Molto vicino ai giovani di etnia rom.

Don Juan da settembre si trova in Italia. Ha lasciato da quasi un anno il Messico. Ci descrive questo paese così lontano da noi?

Una realtà difficile quella di Città del Messico, in cui sono nato, e dove è possibile trovare di tutto dal bene al male. D’altra parte gestire una popolazione vasta di circa 26milioni di abitanti e con una grande densità territoriale non è cosa facile per un paese ai limiti della povertà. Abbiamo una divisione netta tra poveri e ricchi che paradossalmente sono vicini di casa. Da un lato della strada la favela, con la miseria, e dall’altro la metropoli sfarzosa. Non è come in Italia in cui i poveri sono localizzati in zone ghetto, nella stessa zona troviamo il palazzo del ricco separato solo da un muro dalla favela. Il Messico è combattuto da una realtà irregolare di distribuzione delle risorse e tutti tendono a scappare negli USA, ad inseguire il sogno americano che in pochi, però, realizzano e per varie problematiche, una di queste è la clandestinità che può durare anche tutta la vita.

In questa situazione di povertà e di difficoltà per un giovane deve essere davvero difficile rimanere sulla retta via. A lei è successo di deviarla?

Diciamo che ho rischiato di grosso. La mia provenienza familiare e di fede cattolica, sono cresciuto da generazioni nella chiesa, ma essendo l’ultimo di una famiglia numerosa come tutti i giovani anche io sono stato attratto per qualche tempo dalle lusinghe del mondo e anche molti atteggiamenti che all’inizio mi sembravano davvero lontani e che giudicavo, dopo un pò li ho fatti miei. Ma, per mia fortuna Dio ti riprende dai capelli e ti riporta indietro. Insiste e più resisti, più lui chiama. A resistere alla chiamata divina ho anche provato: volevo una vita, fatta di divertimenti e di poca fatica, forse come tutti i giovani.

Chi ha incontrato su questo cammino difficile?

Il movimento neocatecumenale che è una riscoperta della vita cristiana attraverso il credere che il battesimo ci fa figli di Dio con una rilettura dei fatti della storia. E man mano che si va avanti in questo percorso si riscopre l’azione di Dio nel progetto della salvezza. La rivelazione dell’amore di Dio è il desiderio che tu possa donare questa scoperta e spenderla nell’obiettivo che è il dare gratuitamente.

E poi cosa succede?

Succede che ho deciso di diventare sacerdote, perché mi sono reso conto che dovevo restituire ciò che mi era stato dato, la salvezza, tentare almeno. Ho cominciato sette anni fa il mio percorso sono entrato in seminario a Gualahara in Messico, ho studiato filosofia e dopo sono arrivato in Italia e ancora studio al seminario di Rende CS, continuando il percorso teologico.

Qual è la realtà che ha trovato nel Cosentino?

Dio mi ha mandato esattamente, dove volevo essere. In luogo che, forse, mi è anche familiare, in un certo senso, se paragono alcune realtà di qui a quella messicana. In questa zona abbiamo un’analoga divisione tra poveri e ricchi come in Città del Messico e c’è anche il villaggio Rom.. Non molto tempo fa celebrammo una messa nel villaggio, nel momento dell’Eucarestia due ragazzi di dodici anni, Michael e Nicola hanno incominciato ad azzuffarsi. Ci siamo fermati un attimo e con attenzione, la stessa che ho ricevuto in Città del Messico nel momento difficile della mia vita, gli abbiamo fatto capire che non era quello il modo di risolvere le questioni. Alla fine della celebrazione, i due ragazzi si sono abbracciati perché avevano trovato una soluzione diversa alla loro controversia.

Che cosa state facendo per questi ragazzi?

Noi siamo aperti a tutti e devo dire che se si lascia la porta aperta senza volere insegnare niente a nessuno, ma cercando semplicemente di accogliere, i ragazzi vengono. Noi vogliamo dare solo una speranza, senza paura e senza forzature. Non è facile e sappiamo che ad un avvicinarsi, seguirà subito dopo un allontanamento, ma l’importante e tenere sempre la porta socchiusa. Si deve far capire che Dio è misericordioso, ma che in cambio si aspetta la nostra fedeltà e la morte del nostro orgoglio, e questa deve essere una scelta libera, lo sappiamo ma accompagnata, però, sempre, da questo atteggiamento di accoglienza.